In principio era l’anonimato. Chi come me si è trovato ad interagire su forum e chat nei primi anni 2000 ricorda sicuramente che la maggior parte degli utenti scriveva “nascosta” e protetta da un nickname.
Il mio, ad esempio, era danix, e, magari lo racconterò in un prossimo post, mi ha salvato decisamente la carriera universitaria – oltre che la faccia.
Poi è arrivato Facebook, che ha rivoluzionato completamente il nostro modo di interfacciarci con gli altri su Internet: oltre alla nostra faccia, infatti, abbiamo incominciato ad usare il nostro nome e cognome e Facebook porta avanti una sua personale “guerra” contro chi utilizza il Social Network con pseudonimi o nomi falsi.
Da qualche tempo sembra però che stiano tornando in auge i sistemi che permettono di mandare messaggi in forma anonima. L’ultimo in ordine di tempo ad apparire online e poi sui nostri smartphone è stato Sarahah, una app dal nome che in arabo significa “onestà”, sviluppata in Arabia Saudita.
Obiettivo originario del creatore della app era quello di creare uno strumento per facilitare le valutazioni aziendali anonime. Ma come spesso accade sul Web, ciò che era stato pensato con un determinato scopo finisce per essere utilizzato in tutt’altro modo.
Come funziona Sarahah
Il funzionamento della app è molto semplice: ogni utente crea il suo profilo e diffonde un nickname o un link che lo identifica. Una volta arrivati sul “profilo” di qualcuno, chiunque può lasciare un messaggio in perfetto anonimato, anche senza iscrizione. Chi ha ricevuto il messaggio lo può leggere in una schermata apposita, che solo lui può raggiungere.
La “vittima” una volta ricevuto il messaggio non può rispondere, ma trova a sua disposizione delle funzionalità per ricondividere il messaggio ricevuto su altri social, come Facebook. In questo modo può “denunciare” a tutti i suoi amici i messaggi ricevuti.
Ecco, imaginate un po’ come se una persona, magari uno spasimante timido o qualcuno a cui avete fatto un torto, scriva un messaggio su un foglio e lo metta di notte nella vostra buca delle lettere. Solo che questo avviene online.
Quelli che trovate qui sotto solo alcuni esempi di messaggi che chi li ha ricevuti ha ricondiviso su Facebook
L’anonimato rende violenti?
Nonostante il sito e la app invitino in modo esplicito a utilizzarla per mandare un “messaggio costruttivo”, la grossa paura è, ovviamente, che questa app si trasformi in un’ulteriore freccia nell’arco dei cyber-bulli di tutte le età.
Sottolineo la parola “di tutte le età”, perché a quanto ho avuto modo di vedere in questi giorni, chi sta utilizzando in maniera massiccia questa app sono persone adulte. E perché il bullismo – e di conseguenza il cyber-bullismo – rimanda al mondo dei giovani, ma purtroppo ci riguarda tutti. Per questo a me piace chiamarle “aggressioni mediate”.
La paura che questa app possa essere utilizzata in maniera impropria è ovviamente condivisibile. È bene però, prima di indicare l’anonimato come la causa di tutti i mali di Internet, soffermarsi sui risultati, per certi versi sorprendenti, di alcuni studi: sembra in generale, infatti, che chi ci mette la faccia sia molto più aggressivo di chi la nasconde.
E se vi è capitato di imbattervi in qualche discussione su Facebook o Twitter, avrete potuto notare come il fatto di postare in maniera riconoscibile (nome e cognome + propria immagine di profilo) non limita di certo la cattiveria e gli insulti che girano in quegli ambienti.
Sembra paradossale, ma chi insulta sembra provare molto più piacere nel metterci la faccia per rivendicare la propria cattiveria. Così, con le dovute eccezioni, sembra che Sarahah sia utilizzato maggiormente da innamorati timidi piuttosto che dai bulli del quartiere, o comunque possa essere utilizzato spesso in maniera goliardica.
Quali sono i pericoli di Sarahah?
Al momento Sarahah non sembra riscuotere un grande successo tra i giovanissimi, perché a differenza del recente ThisCrush o del più longevo Ask, non esiste una bacheca visibile su cui fare tutte quelle attività (taggare, mettere “mi piace”, condividere) che i ragazzi chiamano “fare show”. Mentre in fondo, sono proprio queste attività che determinano la nostra realizzazione sociale su un social network.
Questo è un fattore molto importante, perché toglie la possibilità ai bulli di utilizzare uno degli elementi fondamentali, quando parliamo di bullismo: il “branco” che sostiene l’aggressione.
Il vero pericolo, allora, riguarda ancora una volta i nostri dati personali (messaggi inviati compresi), che diventano proprietà di Sarahah la quale, nei termini di condizioni del trattamento dei dati, si prende il diritto di modificarli in qualsiasi momento senza preavviso e conosce tutto di noi.
Sarahah, qualche suggerimento per fronteggiare il fenomeno
Anche se l’inventore della app promette l’introduzione di alcune funzionalità per limitarne l’uso improprio, è sempre utile avere nella propria cassetta degli attrezzi qualche suggerimento per affrontare il fenomeno al meglio:
- leggere sempre con attenzione i termini e le condizioni di trattamento dei nostri dati;
- se siamo genitori/educatori, vigilare e affrontare insieme ai ragazzi l’argomento, controllando anche l’eventuale pubblicazione dei messaggi ricevuti in altri social;
- ricordare e ricordarci che scrivere in maniera anonima non ci rende impunibili;
- se una cosa non la possiamo dire con il nostro nome (a meno che non sia la dichiarazione di un timido innamorato), probabilmente non è una cosa buona: non diciamola!
Come dico sempre, previre è sempre meglio che curare!
Se vuoi approfondire questo e altri temi legati al mondo della comunicazione mediata e digitale, WebConsapevole è a tua disposizione per aiutarti a mettere nella cassetta degli attrezzi strumenti utili per capire (e magari anche anticipare) le possibili trappole in cui i ragazzi di oggi possono cadere muovendosi in questo ambiente.
Come anche Sarahah insegna, ogni oggi possono nascere nuovi pericoli … non farti trovare impreparato, impara i segreti del mondo digitale prima che sia troppo tardi!
Un commento su “Come funziona Sarahah, la nuova app per inviare messaggi anonimi”