Dopo il servizio delle Iene non si fa che parlare della Blue Whale Challenge, il tragico gioco della Balena blu che sembra essere costato la vita a diversi ragazzi nel mondo. Esistono due diverse filosofie di pensiero: una che ritiene si tratti in gran parte di allarmismo, attivato da una serie di “fake-news”, e una seconda che ritiene si tratti di un vero e proprio pericolo, come abbiamo già detto in un precedente articolo.
Forse la verità sta nel mezzo. Perché, anche se la questione è stata gonfiata, questo continuo parlarne non fa altro che aumentare il rischio di emulazione da parte dei ragazzi e che l’argomento Blue Whale venga utilizzato per atti di cyber-bullismo o per ottenere foto intime.
La Blue Whale pone molte questioni: quella sul dialogo che abbiamo con i ragazzi (possibile che in una prova che dura 50 giorni e prevede tra il resto incidersi superficialmente le vene o le labbra nessuno si accorga che c’è qualcosa che non va?); del vero fine che vuole raggiungere chi ha ideato questa sfida (e se l’obiettivo fosse quello di raccogliere materiale da rivendere nel “deep web”, quel sottobosco del mercato nero di Internet, a cui si accede solo con sistemi in grado di rendere anonime le nostre connessioni?).
La Blue Whale è però forse anche l’emblema di una vita “reale” e “online” che non possiamo più trattare come dimensioni distinte. E così ci pone una questione altrettanto importante: come accompagnamo ì ragazzi nell’ambiente digitale, che spesso risulta per noi adulti una dimensione avvolta dal mistero e per loro una dimensione vissuta in solitudine. Sì, perché i social network (in cui la sfida è nata e si diffonde) sono un ambiente da cui i nostri ragazzi entrano ed escono continuamente, senza la consapevolezza di farlo. Dove incontrano persone che non conosciamo e che non conoscono. Dove vivono esperienze estemporanee che contribuiscono ad abbassare le difese della capacità di riflessione critica. Dove poi si imbattono in serie tv dai contenuti di cui non sono capaci a gestire la complessità, come ad esempio, per rimanere in tema, la serie di Netflix “13 Reason Why”, dove l’argomento principale è la correlazione bullismo-suicidio.
La Blue Whale diventa molto più pericolosa tanto quanto non ci immischiamo, lasciando che i ragazzi vivano in una dimensione parallela (che parallela non è), senza poter contare sul giusto accompagnamento e sostegno. Nella vita “reale”, non tempestiamo forse i nostri ragazzi con mille domande su chi vedono al pomeriggio, che cosa fanno con i loro amici, quali adulti sono con loro? Nell’ambiente digitale, che è ormai parte totalmente integrante della nostra vita, è bene porci le stesse preoccupazioni.
Abbiamo il dovere di non lasciare che la dimensione digitale diventi una zona franca dove tutto può succedere e che venga vissuta al di fuori del nostro controllo. Può essere una fatica, quella di capirne le dinamiche, ma va fatta. Perché passata la Blue Whale verrà fuori qualcos’altro, e saremo punto da capo. Meglio attrezzarsi per tempo. E anche fossimo davanti ad un caso un po’ ingigantito, ecco alcuni suggerimenti per non lasciarsi travolgere dalla questione Blue Whale
Blue Whale Challenge: i consigli per gli educatori
- Aumentare il dialogo. In casi del genere, il dialogo è fondamentale per capire se i ragazzi sono coscienti della pericolosità della Blue Whale e per riportare la questione in una dimensione razionale attraverso delle domande che aiutino a smontare le loro preoccupazioni (“il curatore dice che succederà qualcosa di brutto alla tua famiglia in caso di interruzione? E come fa a sapere chi sono i tuoi famigliari?”)
- Fare rete: è importante conoscere la questione Blue Whale e attivare intorno ai ragazzi un’alleanza a più voci: genitori, insegnanti, educatori … nessuno di chi ha a che fare con loro può sentirsi non interessato dalla questione
- Ricordare le buone pratiche per abitare l’ambiente digitale: non accettare la richiesta di amicizia da persone che non si conoscono, non condividere i propri dati sensibili (dove abiti, che scuola fai, chi sono i tuoi genitori, etc)
- Monitorare i ragazzi. Se si nota qualche movimento sospetto o qualche ferita strana sul corpo, è consigliabile affrontare immediatamente la questione. Ferite corporali e sveglia durante la notte sono le tipiche prove della Blue Whale Challenge.
- Segnalare i casi sospetti. Aiutare i ragazzi a vivere in un clima di solidarietà tra loro. E nel caso venissero a conoscenza di altri ragazzi che potrebbero essere impegnati nella sfida, contattare i genitori. Se non si conoscono, segnalare il fatto alla Polizia.
Blue Whale Challenge: i consigli per i ragazzi
- Gli adulti sono degli alleati: se vi siete lasciati convincere ad affrontare qualche prova del Blue Whale Challenge non siete obbligati a continuare. Parlatene con i vostri genitori o con un adulto fidato e nel caso sporgete denuncia alla Polizia.
- Può esserci chi se ne approfitta: se ricevi messaggi da sconosciuti, ignorali
- Antenne dritte: se pensi che qualche tuo amico stia facendo la Blue Whale Challenge, parlane con i sui genitori o con un adulto
- Vivi con consapevolezza sul Web: non accettare richieste di amicizie da persone che non conosci, non condividere le tue informazioni personali sui tuoi profili
- Denuncia i curatori. Se ti contatta qualche curatore, denuncialo alla Polizia. Lo stesso vale se qualche persona ti ha aggiunto su qualche gruppo strano
Articolo pubblicato in originale su Cittanuova.it